Nell’arco dei bei pomeriggi passati insieme al Club delle piccole creative abbiamo potuto sperimentare alcune tecniche, altre sono state proposte, ma è risultata la lavorazione dell’argilla la più amata

Dall’inizio avevo deciso di tenermi aperta a fare sperimentare le bimbe in modo libero, ma in fondo speravo di riuscire a trasmettere sopratutto la mia passione e competenza per l’intreccio di cesti.

Tuttavia, vedendo la loro gioia nel lavorare l’argilla ho deciso di rimandare la cesteria a un momento nel futuro in cui vedrò che il gruppo è davvero interessato, perché mi son resa conto che si tratta di un’attività che richiede troppa costanza e pazienza a bambini già reduci da sei ore di scuola ovvero didattica frontale non esperienziale.

Le bambine hanno bisogno di attività rilassanti e non giudicanti per crescere sane e forti, e l’argilla è perfetta per questo: non c’è errore che non si possa rimediare rimpastando tutto e non ci sono davvero errori, ma forme simpatiche anche quando non previste. Con i cesti invece i difetti si vedono e sentono e prima di fare un cestino che non si apre da solo bisogna incaponircisi per giorni… meglio se consecutivi. Ne so qualcosa, che la mia formazione come cestaia è stata costellata di molte imprecazioni e frustrazione con una materia prima non sempre disponibile o lavorabile.

Quando lavorano l’argilla le bambine sono molto concentrate e a loro agio, e hanno voglia di continuare.
Ho preso allora la decisione di assecondare il loro bisogno e fare sul serio, così ho iniziato a studiare la materia, finora approcciata per gioco, e come portarla nel modo giusto. Anche grazie all’incontro con Andrea Sola, educatore con decenni di esperienza nella creazione di laboratori di ceramica per bambini e ragazzi, conto di essere presto all’altezza del compito assegnatomi dalle mie piccole compagne di creazione!

Un estratto dal libro di Sola “L’immaginario modellato”:


A fronte di una invasione massiccia di flussi di immagini digitali tanto
facilmente realizzabili e fruibili quanto assolutamente incontrollate, si sono però perse le pratiche che prevedono l’utilizzo consapevole del linguaggio visivo. È quindi più che mai recuperare l’attività del conoscere “attraverso la mediazione dei sensi”, cioè di tutto quello che rientra nella dimensione artistica del fare.


Essendo il pensiero per immagini la forma privilegiata attraverso cui si esprime l’infanzia, la sua svalutazione coinvolge alla radice il concetto di infanzia.

Va osservato come in tutti gli studi sul disegno infantile sia praticamente assente ogni riferimento alle produzioni tridimensionali. Le forme modellate, basandosi sulla totale libertà di scelta e di movimento dei loro autori, subiscono meno di quelli grafici la contaminazione delle aspettative adulte e quindi la possibilità di emettere giudizi.
Vi è innanzitutto il ruolo centrale del tatto, cioè dell’effetto prodotto dal contatto diretto con una materia che di per sé è molto docile e la cui manipolazione per questo produce
un piacere immediato; queste operazioni appartengono quindi in maniera quasi esclusiva
alla sensibilità più privata e incomunicabile d’ogni bambino, impedendo quindi all’adulto
qualsiasi interazione diretta con essa.

L’avventura continua!

Francesca